Customer Minding

science in customer experience

UN CHIP NEL CERVELLO

Enrico Morandi

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Lo ammetto, ho una passione viscerale per Elon Musk, il fondatore di Tesla e PayPal, e per il genio che lo anima.

Sarà per il suo fuoco innovatore, o per la concretezza data ai suoi sogni, ma lo considero l’archetipo dell’uomo del millennio. Da poco, ha annunciato una nuova azienda che avrà l’obiettivo di arricchire (sic!) il cervello umano di ingredienti sintetici. Si chiama Neuralink http://on.wsj.com/2oDoG2k

Il presupposto avveniristico poggia sulla teorica possibilità di assimilare le funzioni celebrali umane a quelle di un sistema a intelligenza artificiale centralizzata, e dunque di realizzare device da impiantare nel cervello allo scopo di interfacciare un software IA.

C’è però un altro visionario che ha catturato la mia attenzione: Bryan Johnson.

Ha appena fondato una delle start-up hi-tech del momento: Kernel https://kernel.co/ Nata lo scorso anno a Los Angeles, punta a sviluppare un piccolo chip da impiantare nel cervello, capace di acquisire, interpretare e potenzialmente anche modificare i segnali elettrici generati durante l’attività cerebrale, abilitando una comunicazione diretta tra noi e i computer. Intende costruire delle interfacce neurali avanzate, al momento con la finalità principale di aiutare chi soffre di patologie neurologiche, come Alzheimer o Parkinson.

Non sembra anche a te che il sogno degli scrittori di fantascienza stia diventando una realtà possibile?

Senti un po’ quello che Johnson dice: “L’intelligenza, in tutte le sue forme, è la risorsa più grande e potente esistente nell’universo conosciuto. È alla base di ogni nostra attività. Lavorare in questo campo è l’equivalente odierno di prepararsi ad andare sulla Luna”.

Noi, al lavoro sul Customer Minding, effettivamente un poco, sulla Luna, ci sentiamo.

Il principale scopo di Johnson è: “(…) mettere a punto piattaforme e strumenti che ci aiuteranno a incrementare le nostre capacità cognitive ed esplorare le potenzialità umane”.

Anche in questo caso, siamo d’accordo! Esplorare le potenzialità del cervello, e le dimensioni emotive che governa, ci sta aiutando a inquadrare sempre meglio le capacità cognitive umane e le modalità con cui possiamo incrementare le risposte positive verso messaggi e comunicazioni.

Aggiunge: “Il funzionamento del nostro cervello è ancora, in buona parte, misterioso. Voglio arrivare al punto di poter scrivere e leggere il codice neurale – grazie a cui gli impulsi nervosi vengono interpretati come percezioni, ricordi, significati e intenzioni – nello stesso modo in cui oggi scriviamo e leggiamo il codice informatico”.

 Ecco. Qui, al contrario, mi fermo, e mi preoccupo.

Comprendere per migliorare, è ciò che mi sprona. Lo faccio con un atteggiamento indagatorio, analitico verso l’esistente, approfondito ma mai invasivo. Da un lato, per aiutare le aziende a migliorare la loro modalità d’ingaggio del consumatore, ottimizzando così investimenti e tempo. Dall’altro, per ingaggiare persone realmente interessate, riducendo la dispersione e il fastidio.

Diverso, invece, è pretendere di intervenire direttamente nel cervello, o – addirittura! – di scriverne il codice neurale: (al netto che sia mai possibile) spaventoso! Le implicazioni sono potenzialmente devastanti. Anche – o forse, soprattutto – nel campo del marketing e della comunicazione in cui opero. Mi vedo già legioni di lobotomizzati a comando, pronti ad afferrare ciò che qualcun altro vuole. Una Induced Customer Experience…brrr, da brividi.

Caro Johnson, sai, mi sa che quel chip te lo devi mettere…

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