Customer Minding

science in customer experience

MARKETING RESURRECTION

Enrico Morandi

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Non so tu, ma di questa narrazione retorica che dilaga nella pubblicità non ne posso più.
Immagini di strade vuote, serrande chiuse, medici e infermieri, mascherine, perfino gli artigiani della qualità in solitudine a ritagliarsi pezze… E poi: ripartenze, rialzate, ringraziamenti, vicinanze, distanze che ci renderanno più vicini (per non menzionare la retorica sugli ‘eroi’, risolta definitivamente da un bell’articolo di Marco Balzano sul Corriere della Sera del 10.04).

Questo è ciò che passano il marketing e la comunicazione nostrana. Capace di coinvolgere le persone colpite da un dramma parlando… del dramma! Come è possibile?

Le emozioni sono essenzialmente delle reazioni fisiche a eventi esterni o a fattori interni che passano da persona a persona, innescando reazioni non razionali.
Per esempio, se vedo una persona preoccupata capisco che c’è qualcosa per cui esserlo, e reagisco con la paura. Quindi, se mi fai vedere strade vuote, serrande chiuse, gente sola come pretendi che reagirò? E non basta il recupero positivo finale: se vuoi farmi provare allegria sapendomi triste, prima dovresti aiutarmi a ritrovare l’allegria affinché poi io sia aperto ad accogliere il messaggio che vuoi darmi.

Come se non bastasse, oltre al dramma, la vendita!
Mi chiedo: è opportuno l’innesto dell’aspetto promozionale nella retorica pubblicitaria nostrana? No, non lo è. E rischia di generare reazioni contrarie. Se proprio intendiamo coinvolgere emotivamente i consumatori facendo leva sul dramma, almeno non andiamo oltre! In questa fase, ci si deve accontentare di generare brand value (già un gran risultato). In questo delicato momento psicologico, la fame di business non deve vanificare l’affermazione dell’Io della marca.

È pur vero che il nostro metro previsionale è crashato, stroncato anch’esso dal virus: non ci è possibile programmare granché e siamo talmente immobilizzati – in alcuni casi, letteralmente annichiliti – da cercare di mettere la pezza a una situazione che pezza non richiede, quanto piuttosto un lungo, lunghissimo tappeto.

Se, anche tu, pensi che:
 dovremo convivere a lungo col COVID-19
 non possiamo più far leva su ciò che abbiamo sin qui utilizzato
 strategie e prodotti vanno probabilmente rivoltati come un calzino
allora spiegami perché, in un momento storico che isola i consumatori e li tiene lontani da affetti, luoghi, brand, non è esploso l’utilizzo del Curtomer Relationship Marketing e non si sono riprogettate Customer Experience realmente connesse con questa nuova realtà?

Ora è il momento!
Ci vuole una resurrezione del marketing, che sappia consolidare il passato rendendolo il trampolino verso una nuova modalità, adatta a una nuova realtà. Dobbiamo uscire dalla comfort-zone e tuffarci con coraggio nell’incertezza adrenalinica che questa, storica possibilità, ci sta imponendo: riprogettando, innovando e cambiando.

Ora è il momento!
Basta con la retorica, i customer journey, le personas (sic), e le stesse identiche parole che tutti declamiamo pensando (magari) di esprimere chissà quali illuminate verità. Ora è il momento di tornare a sperimentare, provare e, perché no, anche sbagliare, perché è questa nuova realtà a chiederlo a gran voce. Il marketing può farlo abbracciando al 100% la relazione diretta con i consumatori, avendo bene in mente di ripensare le modalità pre-virus che, invece, ancora imperano: come, ad esempio le email stile ‘nulla è accaduto’ (quelle inviate da ALDI), o stile ‘vestiamoci as usual’ (DIESEL), o ‘possiamo spendere come sempre’ (le BANCHE, anche le più avanzate come N26). Queste sono azioni palliative, figlie dell’incertezza, e sufficienti per dare alle persone una momentanea evasione della durata di un click. Ma poi?

Ora è il momento di comprendere a fondo che le emozioni e i sentimenti di noi umani sono il nuovo faro del marketing, perché da lì nascono i comportamenti.
Solo dal loro studio, serio e approfondito, si può iniziare a progettare nuovi percorsi e modalità di coinvolgimento delle persone, avendo cura di avvitare su di essi prodotti, offerte, servizi, messaggi perfettamente sintonizzati, per avvicinarsi empaticamente a ogni persona e avere l’opportunità di raccontare di noi. Non importa più il medium: ora importa capire cosa un essere umano prova intimamente, da quali stati d’animo è mosso, da come il cervello li processa, in che modo ci spinge ad agire. Ora, insomma, è il momento di rendere il brand umano.

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