Customer Minding

science in customer experience

SHEEP OF WALL STREET

Mattia Schieppati

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Fiuto, adrenalina, cinismo, pelo sullo stomaco (forse, per questo, la definizione di “lupo”). E tanti, tanti soldi che girano, vanno e soprattutto vengono. Dall’immenso Gordon Gekko by Michael Douglas (anno 1983) all’ultimo Wolf of Wall Street (2013) interpretato da Di Caprio, la finanza delle speculazioni di Borsa è sempre stata, nell’immaginario, roba per gente abbastanza fuori di testa.

Contrordine.

La rapidità con cui il prefisso “neuro” si sta avvinghiando a tutte le discipline (neuromarketing, neurolinguistica, neuro-Art) è arrivata anche alla più contemporanea di tutte le arti umane, l’economia. E, in particolare, alla sua declinazione più avanzata e inafferrabile, la finanza. Mentre infatti da una parte sistemi sempre più evoluti di Artificial Intelligence (sotto forma di robo-advisor e algoritmi di varia natura) sono ormai pressoché gli unici gestori degli scambi azionari quotidiani, macchine che spostano in un decimillesimo di secondo tonnellate di miliardi dal mercato del petrolio a quello della soia, dall’aerospazio ai derivati dei derivati dei derivati del taleggio, ecco che tanto nelle accademie che sfornano economisti quanto nelle multinazionali che gestiscono questa enorme fiera del guadagno facile si sta riscoprendo il valore del cervello. Umano, intendo. Del valore unico di quel mix fatto di razionalità, volontà ed emozione (in pratica, della “persona”) nel porsi in mezzo a questo traffico impazzito di billions e di algoritmi. E dargli, perché no, un senso.

L’affermarsi, a tappe spedite, delle neuroscienze e delle tecnologie di analisi neuronale applicate ai meccanismi che regolano le scelte di singoli individui e di gruppi in ambito finanziario sta contribuendo in maniera determinante a questa “riumanizzazione” dell’economia. O, come si sta cominciando a sperimentare in numerosi Atenei, della neuroeconomia. L’ultimo Nobel per l’Economia attribuito dall’Accademia di Svezia a Richard H. Thaler per «il suo contributo negli studi sull’economia comportamentale» è il suggello massimo di questa tendenza.

L’economia e la finanza comportamentali sono terreni molto interessanti per i neuroscienziati, perché sono ambiti in cui vengono messi a nudo alcuni dei meccanismi più primitivi e nel contempo più evoluti del nostro cervello. E spiegano (finalmente!), perché nonostante siano passati sotto i ponti diversi millenni di umanità e tonnellate di tomi di dottrine economiche, ci si trovi ancora prigionieri di un’economia che galleggia tra una crisi e l’altra.

Il meccanismo neurologico bacato (e interessantissimo) che si ripresenta puntualmente nella finanza analizzata con gli strumenti del customer minding è quello del «super ottimismo». Dopo diversi anni di forte crescita, si inizia a considerare le prestazioni straordinariamente positive degli anni precedenti come normali. Il cervello si convince che crisi come quella del 2008 non possono più avvenire, «e qualora accadessero non toccherebbe di certo me». Così, si innesca un meccanismo cerebrale che tende a sottostimare i rischi. Questo ingenera, a livello di sistema, uno spin positivo: tutti vogliono guadagnare tanto, non c’è spazio per la prudenza, e gli indici azionari salgono a livelli record. Questo momento si rompe solitamente per un evento traumatico inatteso. Cosa succede in questi casi? Il cervello vive una forte paura. Il terrore per l’effetto gregge, la tendenza degli umani ad imitarsi in situazioni di incertezza, si sparge a macchia d’olio. La diffusione di questo sentimento negativo si fonde con l’idea di non accettare le perdite. D’improvviso, si assiste a una dismissione massiva degli investimenti, seguito da immobilismo per sovrastima dei rischi. Ed eccoci di nuovo nella palude della crisi.

Quattro-cinque anni di vacche magre, e il cervello come se niente fosse ricomincia a pensare positivo. All’infinito.

Perché lo facciamo? Attraverso la risonanza magnetica funzionale del nostro cervello è stata rilevata una dissociazione temporale tra il calcolo del valore atteso e del rischio connesso. Gli studi di neuroeconomia hanno mostrato come il cervello processi sempre prima il valore atteso (la media) di una scelta e solo dopo la sua rischiosità (la varianza). Questo implica che tutte le scelte effettuate troppo in fretta, pensiamo al trading online, rispecchiano una totale mancanza o una limitata considerazione della rischiosità di ciò che stiamo scegliendo.

Il nostro cervello, in finanza, dimostra due cose: che siamo impulsivi, e profondamente pecoroni. Attendiamo dunque un grande regista che firmi un kolossal che sarebbe davvero di successo: Sheep of Wall Street.

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