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science in customer experience

TE LO DICO ALL’ORECCHIO…

Mattia Schieppati

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State attenti!
Tanto più, in classe, la lezione era soporifera, con tanta maggiore frequenza questa frase usciva dalla bocca della prof a “distrarci” dal nostro pasticciare compulsivamente il diario. Eppure, il fatto di “distrarsi” è l’elemento più umano del nostro essere. E se non ci basta la nostra esperienza quotidiana, o l’osservazione di un qualsiasi 12enne ingabbiato in discorsi noiosi, ecco che a confermarlo sono le neuroscienze. I condotti sensi che utilizziamo in maniera predominante – i due occhi, le due orecchie – sono programmati per prestare attenzione, ovvero massimizzare la loro capacità ricettiva, secondo un ritmo alternato e ciclico. I nostri organi, e quindi il nostro cervello, percepiscono suoni e visioni secondo oscillazioni che riflettono i ritmi della nostra attenzione.

A dimostrare questo assunto è una ricerca italo-australiana condotta da David Alais e Johahn Leung del dipartimento di Psicologia e Scienze Mediche dell’Università di Sydney, David Burr del dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Firenze e Maria Concetta Morrone e Tam Ho del dipartimento di Ricerca Traslazionale dell’Università di Pisa, e pubblicata sulla rivista scientifica Current Biology (qui la pubblicazione dello studio: http://bit.ly/2kYylU8). Grazie a una serie di esperimenti comportamentali, supportati da rilevamenti strumentali di analisi delle reazioni neuronali, i ricercatori hanno dimostrato che la sensibilità nel rilevare la presenza di un suono debole non è costante, ma fluttua ritmicamente nel tempo. La ritmicità della sensibilità induce un campionamento sequenziale dei segnali provenienti dalle due orecchie, circa a un decimo di secondo, abbastanza velocemente da agire al di fuori della nostra coscienza. «Oscillazioni percettive erano state già descritte per il sistema visivo, ma mai prima per il sistema uditivo. La difficoltà nel dimostrare la ritmicità percettiva del sistema uditivo è proprio legata alla peculiarità di una frequenza di oscillazione di opposta polarità nelle due orecchie. Tuttavia campionare a tempi diversi i segnali provenienti dalle due orecchie può offrire numerosi vantaggi, non ultimo quello di monitorare con attenzione il segnale monoaurale, ma senza perdere l’informazione importante per la localizzazione del suono», spiega la ricerca.

Tale ciclicità riguarda non solo la capacità di rilevamento, ma anche la capacità decisionale di classificare il suono, e qui sta la parte più interessante, perché ci fa comprendere un pezzettino in più di come funziona il nostro cervello, e di quali interazioni coesistano tra istinto e volontà (punto focale di qualsiasi discorso legato alla comunicazione di marketing e più in generale per la strutturazione di percorsi di customer experience innovativi). Quando subentra tale capacità decisionale («voglio proprio capire bene quel suono»), le oscillazioni sono molto più rapide, sottolineando come i processi che sottendono le nostre decisioni e le nostre abilità percettive possano utilizzare circuiti diversi ed essere regolati da ritmi diversi. «Questi risultati sono importanti perché suggeriscono che probabilmente è l’attenzione, incapace di essere distribuita in molteplici domini simultaneamente, che oscilla e campiona sequenzialmente i segnali provenienti dalle due orecchie. Infine lo studio dimostra che la sensibilità sensoriale e la nostra capacità di prendere decisioni oscillano su ritmi specifici e a frequenze diverse».

Quale può essere il vantaggio per il cervello di effettuare un campionamento ritmico delle informazioni sensoriali, si sono chiesti i ricercatori? La risposta è affascinante. «Quando esaminiamo una scena non tutte le sue parti sono egualmente salienti: alcune ricevono più attenzione di altre e queste vengono analizzate con priorità. Questa è una strategia molto efficace: permette di concentrare le nostre risorse attentive, di solito molto limitate, su specifici oggetti di interesse, invece di diluirle su tutta la scena. Allo stesso modo le risorse attentive possono essere concentrate in brevi frazioni di tempo: come una luce stroboscopica che lega insieme gli oggetti della scena illuminati simultaneamente». Ma il percorso che il nostro cerebro segue è ancora più complesso, e “intelligente”. «Le oscillazioni neurali potrebbero avere lo scopo di organizzare e codificare nel tempo, attraverso frequenze diverse, le informazioni provenienti dai vari sensi per farci interagire in maniera ottimale con il mondo esterno. Insomma, la nostra percezione del mondo è inerentemente ritmica, sebbene non ne siamo assolutamente coscienti».

Nell’organizzare e modulare messaggi che vogliamo arrivino al nostro interlocutore, quindi, questa ciclicità ritmica della percezione deve essere tenuta in considerazione. Si tratta di frazioni infinitesimali di secondo, e di ridottissime frequenze di megahertz, certo, e quindi rispetto agli strumenti di comunicazione di cui disponiamo oggi – e di cui possiamo disporre, per esempio, in un normale commercial – non sono elementi che fanno la differenza. Però immaginare un linguaggio (visivo e uditivo) sempre più spezzettabile e mirato, che per esempio si sviluppi “in sintonia” con questo ritmo e quindi sia in grado di andare a massimizzare i picchi di attenzione di ciascun occhio e di ciascun orecchio produrrebbe di sicuro un effetto di efficacia del messaggio superiore a un “banale” messaggio senza modulazione. A questo gli scienziati non sono ancora arrivati. Forse perché questo sporco lavoro spetta a noi comunicatori…

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